Residui – Ciredz solo-show
Curatrice: Chiara Pietropaoli
Artista: Ciredz
Dal 24 Novembre 2017 al 5 Gennaio 2018
C: Hai iniziato a dipingere nelle campagne disabitate della Sardegna, passando l’infanzia e l’adolescenza in mezzo alla natura, nel piccolo paese vicino al mare dove sei nato. Cosa ti ha spinto a confrontarti in maniera attiva con il paesaggio, prima rurale e poi urbano? Quali sono le differenze che riscontri nell’approcciarti artisticamente a due contesti cosi differenti?
A: Ho iniziato a esprimermi nello spazio pubblico sperimentando con i graffiti; in quel periodo per me il muro era esclusivamente un supporto interessante per via delle dimensioni e della posizione.
In seguito, quando ho iniziato ad approcciarmi all’Arte Astratta la mia relazione con lo spazio, la mia visione dello spazio è cambiata nettamente.
Tra il 2007 e il 2009 ho iniziato a ragionare in maniera diversa: durante gli anni di studio a Bologna ho conosciuto e studiato il lavoro di alcuni artisti, tra cui Penone e Calzolari, che mi hanno influenzato particolarmente. Conoscere l’Arte Povera mi ha spinto a interrogarmi sui materiali in una maniera profonda, a interrogare i materiali stessi che nel mio caso sono parte della poetica. Poi c’è il lavoro di Superstudio che mi ha aperto la mente sulla relazione tra natura e artificio; mi viene in mente Supersuperficie.
Arrivare a quelle conoscenze mi ha portato a raggiungere una consapevolezza importante sul mio percorso, a capire meglio il mio intento, dove volevo arrivare.
Sono del tutto convinto che passare l’adolescenza e l’infanzia in mezzo alla natura mi ha permesso di sviluppare una certa sensibilità senza la quale non avrei mai potuto concepire il lavoro che porto avanti oggi.
La motivazione che mi ha spinto a confrontarmi in maniera attiva col paesaggio è stata appunto l’iniziare a vivere quotidianamente uno spazio urbano. Il cambiamento tra vivere la natura e iniziare a vivere la città mi ha portato a osservare attentamente le diversità tra le due ed è nata in me la volontà di restituire la mia visione attraverso le mie opere.
Ho iniziato a essere affascinato dalla presenza della natura nello spazio urbano, da come viene “organizzata” dall’uomo. Nella città la natura si fa geometria ordinata, come nei casi dei viali alberati, le aiuole, i giardini delimitati da siepi allineate e così via…
Le differenze di approccio a queste due tipologia di spazio cosi differenti sono infinite. Quando dipingo nel mezzo della natura, faccio molta fatica ad aggiungere qualcosa perché penso che la composizione sia già completa per equilibrio di forme e colori, in qualsiasi ora del giorno. Per questo i miei interventi nella natura sono sempre forme geometriche di piccole dimensioni. Scelgo sempre dei colori che non trovo in natura, principalmente i grigi. Nello spazio urbano invece è differente, l’intervento è quasi sempre di grandi dimensioni e tende ad aggiungere quello che non c’è, quello che mi manca: proprio la natura.
C: Finito il liceo ti sei trasferito a Bologna per frequentate l’Accademia di Belle Arti, dove ti sei diplomato in scultura. Inizialmente il tuo interesse era orientato all’arte figurativa ma nel tempo ha virato verso l’arte astratta. Mi racconti come è avvenuto questo passaggio e quali esigenze si porta dietro?
A: Il passaggio dal figurativo all’astratto è avvenuto quando ho cominciato a studiare scultura, quando i materiali per me sono diventati più importanti della figurazione. Non trovavo più stimolante l’elaborazione della figura in maniera verosimile.
C: Nel 2013 hai conseguito la specialistica in Grafica d’Arte. La sintesi grafica è alla base di molti dei tuoi lavori, che il più delle volte hanno come oggetto il paesaggio naturale. L’altro giorno, mentre parlavamo, hai ripetuto più volte che le tue opere nascono da “un’intenzione grafica”, un “ragionamento grafico”, mi racconti meglio questo aspetto della tua ricerca?
A: La grafica e il volume sono la base del mio lavoro. Quando parlo d’intenzione grafica nella mia ricerca intendo dire che quando creo mi concentro innanzi tutto sull’estetica mettendo in secondo piano ciò che concerne attribuire un significato poetico all’opera. Questo non significa ovviamente che il mio lavoro è povero di significato ma che al contrario il significato è insito nel dialogo tra i materiali che utilizzo, nasce dalla loro combinazione.
C: I paesaggi da cui trai ispirazione sono reali o ideali? Quanto la tua terra ispira il tuo immaginario?
A: I paesaggi da cui traggo ispirazione sono a volte immaginari ma il più delle volte reali, anche se non si tratta mai di una copia dal vero. Nella maggior parte dei casi mi ispiro, per forme e colori, a qualcosa che in natura esiste, che ho vissuto. Porto spesso con me una macchina fotografica; nel mio lavoro la fotografia è uno strumento molto importante. Mi permette di “estrapolare” dettagli di paesaggio che nelle le mie opere divengono centrali, sono i protagonisti. Mi piace portare un particolare in primo piano, come un microscopio.
C: La mostra Residui nasce dalla lettura di un testo di Gilles Clément, paesaggista francese, per te riferimento primo. Il titolo stesso della mostra ne è una citazione. Si tratta del Manifesto del Terzo Paesaggio, uno scritto per molti aspetti rivoluzionario. Cosa rappresenta per te questo saggio? Quali sono i concetti che rielaborerai nell’esposizione, che ti interessa condividere con lo spettatore?
A: Quando ho iniziato a lavorare alle sculture con la terra e il cemento la mia volontà era proprio quella di raccontare in modo grafico la coesistenza tra natura e uomo e l’imprevedibilità che nasce da questo rapporto di convivenza.
Ho trovato il saggio di Gilles Clément illuminante, per molti aspetti affine alla mia ricerca artistica; è stato sorprendente per me trovare un’affinità cosi grande con il suo autore, perché ancor prima di leggere il testo ho iniziato a notare regolarmente quegli spazi inclusi nella sua analisi sul paesaggio: i “residui”, che da tempo sono il fulcro della mia indagine estetica. Mi affascina la natura indecisa di questi spazi, senza una funzione chiara. Si tratta di frammenti di grande valore in quanto rifugio per la diversità e sono proprio questi spazi, i Residui, l’oggetto della mia mostra personale.
Il testo di Clément riguarda tutti noi, penso che sia interessante condividere con lo spettatore una maniera differente di guardare e approcciare il paesaggio, necessaria per il nostro futuro.
C: Cemento, terra, erba (artificiale), di questi tre materiali sono costituite gran parte delle opere che presenterai nella tua mostra personale presso la Galleria Varsi, li hai utilizzati anche in passato, soprattutto i primi due. Cosa simboleggiano per te questi materiali, la loro relazione?
A: Il cemento è un materiale con cui sono cresciuto, sono figlio di un ex muratore, idem per la terra, sono cresciuto in campagna.
Un ricordo che ho molto chiaro è quando andavo a lavoro con mio papà e osservavo gli scavi sui cui poggiano i getti di cemento armato. In questo processo si crea una sezione ben definita che permette di distinguere chiaramente i due materiali.
Oggi mi rendo conto quanto queste immagini sono state centrali nel mio percorso artistico e quanto a livello tecnico hanno influenzato la mia produzione. La serie di sculture Residui, presenti in mostra ne sono testimonianza.
La terra per me rappresenta ciò su cui ogni cosa si poggia, qualsiasi cosa viene sostenuta dalla terra, in fondo in fondo c’è sempre la terra. La intendo come una madre, disposta a sostenere tutto e comunque sempre in grado di riemergere.
La terra e il cemento per me sono due materiali simbolo del nostro soggiorno sul pianeta.
C: La serie Residui, realizzata per l’esposizione, rimanda per alcuni aspetti alle installazioni che hai racchiuso sotto il nome di Volume, superfici bidimensionali, all’occhio tridimensionali. Molte delle tue opere, anche pittoriche, instaurano un rapporto illusorio con la realtà. Questa volta però le geometrie lasciano più spazio alla rappresentazione. Ci racconti come nascono i “Residui”?
A: Hai ragione, molte delle mie opere giocano con la percezione dello spettatore creando un’illusione. Questa scelta ha a che fare con la volontà di interagire con lo spazio in maniera incisiva ma non per questo invasiva. I miei interventi molte volte con la loro presenza vogliono in realtà portare all’attenzione il contesto in cui si trovano, metterlo in luce, come nel caso delle installazioni “Volume”. Altre volte c’è proprio la volontà di creare “un altro spazio” all’interno dello spazio che viviamo.
Ho deciso di fare dei “Residui” il fulcro centrale della mostra perché penso che sono la sintesi della mia ricerca di tanti anni, l’indagine della relazione tra naturale e artificiale che ti raccontavo nelle risposte precedenti.
C: Mi ha colpito la continuità temporale che caratterizza molti dei tuoi progetti. Mi viene in mente Grayscale series, iniziato nel 2011 e ancora oggi attivo. Quali possibilità apporta questa continuità ai tuoi progetti?
A: Sai che non avevo mai ragionato in maniera razionale su questo aspetto del mio lavoro, per me è qualcosa che è venuto spontaneo. Ora che ci penso forse la continuità temporale di alcuni dei miei progetti dipende dal fatto di che sono strettamente legati a dei luoghi naturali, e nella mia vita la natura è stata una costante; ricerco di continuo un contatto con lei. Agire nella natura è per me un bisogno, mi viene naturale pensare lo spazio in senso artistico.
Questo può legarsi a un aspetto più personale, il mio legame con il tempo. Il tempo mi scivola via, è qualcosa che non percepisco nella mia quotidianità; è sempre stato così non sento il suo peso. Forse si tratta un modo inconscio di evadere il tempo e il mio lavoro mi riporta alla sua esistenza, alla sua importanza.