Adaptation. Andreco solo-show – dal 13 ottobre al 10 novembre 2018

Curator: Chiara Pietropaoli
Artist: Andreco

Adaptation mostra a cura di Andreco solo-show

C: Inizialmente la tua attività di ingegnere ambientale e quella artistica seguivano
percorsi paralleli, nel 2011 a New York succede che le due ricerche si fondono. Come è nata questa unione? In che modo scienza e arte si relazionano nelle tue opere, si tratta di sintetizzare concetti scientifici complessi o c’è spazio per una dimensione ideale?

A: Per molti anni ho condotto una doppia vita, come Andreco portavo avanti una ricerca artistica e con il mio vero nome lavoravo come ricercatore nell’ambito dell’ingegneria ambientale e della gestione sostenibile delle risorse in diverse condizioni climatiche. Nel 2011 lavoravo in un gruppo di ricerca composto da ricercatori di Columbia University e Nasa per quantificare i benefici ambientali dei tetti verdi nella città di New York e allo stesso tempo, come Andreco, partecipavo a diverse mostre collettive e preparavo “Contemporary Alchemy”, una mia mostra personale.
Finite le riunioni con il gruppo di ricerca tornavo al mio studio di Brooklyn per dipingere, le ricerche scientifiche hanno sempre influenzato molto il mio lavoro artistico, per la mostra personale ho realizzato il primo “Green Man”, una scultura antropomorfa composta di piante selezionate secondo uno studio della Nasa sulla depurazione dell’aria. In sostanza si tratta di un uomo di piante che depura l’aria inquinata dagli uomini in carne e ossa. Un giorno la mia tutor di Columbia mi chiama in studio, nonostante lo pseudonimo, aveva scoperto che stavo facendo una mostra personale a Lower East Side, Manhattan. Pensavo non la prendesse bene, invece le opere la entusiasmavano, mi ha chiesto come mai non le avessi mai detto di queste mie altre competenze e alla fine dell’incontro mi ha consigliato di fondere le due ricerche. Qualche anno dopo ho sovrapposto completamente i due percorsi di ricerca.

C: “Climate Art Project”, tuo progetto di punta, sembra incarnare perfettamente questa unione. Quali sono gli obiettivi del progetto?

A: Climate rappresenta il primo progetto che nasce sin dal principio transdisciplinare tra arte e scienza ed attivismo.
Climate è un progetto artistico e scientifico itinerante sulle cause e le conseguenze dei cambiamenti climatici e sulle possibili strategie di adattamento, mitigazione e resilienza.
Climate, si compone di una serie di interventi avvenuti in diverse città europee, viene presentato per la prima volta a Parigi nel novembre 2015 in occasione del Cop 21, la conferenza sui Cambiamenti Climatici delle Nazioni Unite, ed è proseguito successivamente nelle città di Bologna, Bari, a Porto in Portogallo e a Venezia.
CLIMATE consiste nella realizzazione di una serie di interventi diversificati nel territorio che comprendono installazioni nello spazio urbano, dipinti murali e seminari che legano la disciplina artistica a quella scientifica in un dialogo che viene tradotto in opere che traggono ispirazione dalle ultime ricerche scientifiche sui cambiamenti climatici.
Il progetto si caratterizza portando alla luce le vulnerabilità del territorio in cui le sue azioni si inseriscono. Se a Bari il tema principale è stato quello dell’accelerazione dei fenomeni di desertificazione dovuti all’innalzamento delle temperature, a Porto le ondate di calore e gli incendi, a Venezia si è concentrato sull’innalzamento del livello del mare.

C: Nature as Art, così hai definito uno dei tuoi procedimenti artistici. Mi racconti in
cosa consiste?

A: Le mie opere non sono né astratte né figurative ma simboliche. Sono il risultato di una ricerca sulla forma e racchiudono un significato intrinseco ed aperto. Non hanno un’unica chiave di lettura ma molteplici quante le persone che le osservano, il significato viene completato da chi le guarda. Nonostante questo c’è una forte comune denominatore, tutte le mie opere traggono ispirazione dai processi chimico-fisici, le trasformazioni che avvengono in natura. Dalla creazione di elementi naturali ai passaggi di stato della materia, alle ossidazioni. Nature as Art è il nome che ho dato alla mia pratica artistica per cui utilizzo elementi della natura nelle opere o meglio come opere stesse. La natura viene eletta ad opera. Questa
operazione, vuole spostare il punto di vista da antropocentrico ad ecocentrico, dall’autorialità dell’artista a l’elemento del paesaggio e dell’ecosistema. Questa pratica sicuramente è erede di Duchamp, Land Art e Arte Povera, ma con una forte differenza, come ha rimarcato Angela
Vettese in una conferenza, la mia ricerca non ha più una visione romantica come i citati predecessori, ma si basa sugli studi scientifici contemporanei. Infatti gli elementi della natura che vengono eletti ad opera d’arte spesso vengono selezionati sulla base di studi scientifici, per le loro proprietà benefiche per l’ambiente o per il trattamento degli inquinanti, nelle acque
nell’aria o nei terreni.Sono molti i casi in cui ho utilizzato questa pratica artistica. Tutte le volte che ho portato in gallerie o musei le Felci, piante conosciute per la loro proprietà di assorbire i metalli dai terreni, quanto ho appeso un tiglio che secondo il CNR di Bologna è uno degli alberi locali che meglio riesce ad assorbire la CO2. Su scala più grande la pratica
Nature as Art viene utilizzata quando il paesaggio diventa l’opera stessa come in “One and Only” o in “parata per il Paesaggio” oppure quando insieme alle sculture pubbliche pianto dei rampicanti che lentamente le ricoprono fino alla completa sostituzione dell’opera, manufatto
ad opera dell’artista, con la pianta. Come nei casi di: “Melancolia” a Catanzaro per Altrove festival, Landmark n1, presso le serre dei giardini Margherita di Bologna natural elements ad Amburgo e a Torino. Un altro esempio è “Living Mural” un murales-parete verde realizzato
sulla Fondazione Pistoletto di Biella, il disegno sta venendo lentamente coperto da un rampicante, l’opera ha una dimensione effimera data dal cambiamento continuo collegato alla crescita delle piante.

C: Fin dall’inizio hai scelto di instaurare un rapporto diretto con lo spettatore attraverso il dibattito, partecipando a talk e promuovendo tu stesso conferenze interdisciplinari. Che valenza ha questo aspetto nel tuo lavoro?

A: I talk per me sono un’azione diretta. Come scienziato ho sempre preso una posizione netta sull’utilizzo sostenibile delle risorse, condannando apertamente chi inquina e specula ai danni dell’ambiente e dei beni comuni. Come artista inizialmente ho preferito fossero altri a parlare delle mie opere, ma quando queste si sono avvicinate molto ai temi scientifici, le stesse persone con cui collaboravo nel mondo dell’arte mi hanno suggerito di parlarne anche in prima persona per non far perdere dei dettagli importanti. I contenuti dei miei lavori vengono prima della loro autorialità, per questo quando posso cerco di parlarne. Mi interessa aprire una riflessione su questi temi. Credo molto nell’approccio transdisciplinare alla conoscenza, come artista cerco di lanciare ponti tra discipline apparentemente lontane: arte visiva, scienza, spiritismo, simbolismo magico, attivismo, pensiero filosofico libertario, poesia, antropologia, danza.

Adaptation mostra a cura di Andreco solo-show

C: Un altro aspetto del tuo lavoro che concerne la relazione con il pubblico, seppur in maniera differente, è la performance, spesso legata a progetti di Arte Partecipativa. In molte delle tue performance sono presenti bandiere da te dipinte o ricamate. Quali possibilità racchiude per te il mezzo performativo? Cosa rappresenta per te la bandiera?

A: La performance è entrata nella mia pratica artistica circa dieci anni fa, inizialmente ho chiamato musicisti e danzatori a collaborare con me, per poi fare uno studio coreografico vero e proprio. E’ stato un lento aggiungersi di pratiche che mi ha portato alle performance.
La performance è l’opera d’arte totale, racchiude movimento, musica, arte visiva, crea un ambiente immersivo, una situazione, un’esperienza, per questo mi interessa. Le mie performance, come le parate, sono un rituale collettivo, entra in gioco l’empatia, la suggestione e l’emozione.
Le parate hanno anche un senso nello spazio pubblico, sono una pratica urbana, sono un attraversamento, spesso collegano idealmente e fisicamente due luoghi della città o del paesaggio. Nascono intorno a concetti ben precisi, negli anni le coreografie hanno avuto drammaturgie sempre più complesse. La prima parata l’avevo organizzata con l’aiuto di Allegra Corbo, per connettere il museo della città nel centro di Ancona, dove c’era la presentazione del festival PopUP! 2008, con il murales che avevo realizzato nel porto. Mi interessava traghettare il pubblico del museo nel centro storico, nella periferia urbana e popolare attraversata principalmente dai lavoratori del porto, dove era il mio muro e gli interventi degli altri artisti del festival. Oggi le mie parate sono cambiate molto, sono diventate delle vere e proprie coreografie con anche parti più performative. Ogni volta sperimento qualcosa di nuovo e sperimentale.

C: Numerose sono le opere da te realizzate nello spazio pubblico. Cosa ti ha spinto a operare nello spazio di tutti? Come è nato tutto?

A: L’arte è di tutti non solo del pubblico delle gallerie e dei musei. L’arte è cibo per la mente, agire nella città vuol dire creare un inciampo visivo che sabota la routine visiva del quotidiano, una porta per l’altrove.
Sin dagli esordi ho affiancato alle mostre negli spazi chiusi delle azioni nello spazio pubblico. Negli anni novanta, fino agli inizi del 2000, sono stati per lo più degli attacchinaggi di disegni talvolta affiancati da delle frasi. Ero influenzato dell’internazionale situazionista, da movimento fluxus e dai movimenti libertari, punk e anarchici, dalle lotte ecologiste. Non ho mai fatto graffiti, preferivo scritte politiche a volte visionarie, ero affascinato da quello che Hakim Bay chiamava terrorismo poetico. A metà anni novanta avevo assistito alla presentazione del libro TAZ di H.B., la controcultura e l’autogestione hanno influenzato radicalmente il mio modo di agire. Attacchinavo di notte e durante le manifestazioni politiche. Poi questa relazione tra spazio chiuso e aperto, legale ed illegale, mi ha interessato cosi’ tanto che ho deciso di dedicargli un progetto “Escape from the Gallery”, un flusso di balene disegnate uscivano dallo spazio espositivo e attraversavano la città mettendo in connessione lo spazio chiuso e legale con la città. Un progetto che è durato dal 2006 al 2009.
Successivamente mi sono maggiormente interessato alla città da un punto di vista ambientale. In particolare rifletto sul contrasto tra paesaggio urbano e naturale, tra costruito ed incontaminato e all’azione che gli esseri umani hanno nell’ecosistema. Qui i più grandi riferimenti per me rimangono la Land Art in particolare Richard Long, l’arte povera, in particolare Penone, Joseph Beuys per la scultura sociale e l’impegno politico e Barucchello per il progetto di Agricola Cornelia.
Oggi l’arte nello spazio pubblico per me significa rendere omaggio alla natura e spostare il punto di vista sull’importanza che l’ecosistema ha per l’esistenza di tutte le specie viventi.
Questo è un movimento ancora in evoluzione, una storia da scrivere. The best is yet to come.

C: Nei tuoi lavori c’è sempre un bilanciamento tra la denuncia di una problematica ambientale e la “soluzione al problema”, che il più delle volte risiede nelle piante. Pensi che l’arte oggi possa realmente svolgere un ruolo attivo e efficace nella sensibilizzazione sulle risorse ambientali?

A: Credo che l’arte abbia un linguaggio proprio, diverso da quello scientifico, politico o pubblicitario. Un linguaggio basato sulla percezione e sulle emozioni, meno diretto degli altri, ma capace di far nascere degli interrogativi e toccare altre corde del sensibile in chi la osserva. Per questo credo che l’arte possa indirettamente svolgere un ruolo di sensibilizzazione. Nel senso di “stimolo del sensibile” anestetizzato dal cinismo della società capitalistica in cui viviamo. L’arte è un linguaggio meno autoritario e meno imposto di altri proprio per questo riesce ad emozionare e far scaturire delle riflessioni. Non credo che l’arte da sola sia sufficiente per far aumentare la consapevolezza su alcune tematiche ambientali, ma sicuramente può contribuire e può affiancare gli altri linguaggi utilizzati a questo scopo. Per aumentare la consapevolezza ambientale negli individui è necessaria una rivoluzione culturale che investi l’intera società civile e un cambiamento radicale del sistema produttivo, amministrativo ed istituzionale.

In merito alle possibili “buone pratiche ambientali”, come scienziato ho lavorato nell’ambito delle “infrastrutture verdi”, delle “Nature Based Solutions”, quelle soluzioni che utilizzano i processi naturali per risolvere problemi creati dagli esseri umani. La fitodepurazione e il fito-rimedio sono parte di queste soluzioni, infatti è risaputo che alcune piante, più di altre, sono capaci di depurare acque e terreni inquinati. Questi argomenti mi hanno sempre affascinato, molti dei miei lavori artistici traggono ispirazione da questi miei studi scientifici.

C: “Adaptation” è la mostra personale che stai preparando alla Galleria Varsi. Il titolo rimanda alla capacità degli organismi di adattarsi a condizioni ambientali sfavorevoli, alla tollerabilità e alla capacità di resistere che li caratterizza. Cosa hai imparato (e cosa possiamo imparare) nel tempo?

A: Per molti anni abbiamo urlato al rischio dei cambiamenti climatici e non ci hanno creduto. Oggi è troppo tardi, non esisterà più il mondo come lo abbiamo conosciuto, le conseguenze dei cambiamenti climatici si stanno manifestando violentemente su scala globale. Eventi climatici estremi, inondazioni, maremoti, innalzamento delle temperature, siccità e gelate non si possono più evitare, l’unica cosa che si può fare è pensare a come adattarci a queste condizioni, allenarci alla resilienza e prepararci all’impatto.
A farne le spese ogni organismo vivente sulla terra, umani compresi. Questa mostra è un omaggio agli organismi viventi che si devono adattare, alle piante che soffrono la siccità o vengono sommerse dalle mareggiate, ai coralli marini delle barriere oceaniche, alle geologie e al paesaggio in cambiamento. Signore e signori: “Benvenuti nell’Antropocene”. O meglio benvenuti nel Capitalocene, scenari post Cambiamento Climatico.

C: Nel tuo sito internet le immagini delle opere sono sempre accompagnate da una descrizione dettagliata delle stesse. Molte delle tue opere sono descritte come “omaggio” a delle piante specifiche come per esempio “Biancospino Illegale” (Santarcangelo, 2015) e “Melencolia” (Catanzaro, 2017). Quali sentimenti e consapevolezze racchiudono i tuoi omaggi? Anche questa mostra può definirsi tale?

A: Gran parte dei miei lavori sono degli omaggi alla natura. Come spiegato in “Nature as Art” l’operazione concettuale intrinseca a molte mie opere, tratta lo spostamento dal punto di vista dominante, antropocentrico, etnocentrico e specista ad un punto di vista ecocentrico, antispecista, internazionalista, visionario e multiculturale. Questa mostra può considerarsi un omaggio a quegli organismi che una visione aristotelica potrebbe considerare secondi all’essere umano. Annuncio pubblicamente il riposizionamento di quest’ultimi in cima alla classifica.
Auspico la distruzione della concezione verticistica descritta sin dai tempi della “Piramide dei viventi” di Charles de Bovelles del Liber de sapiente (1509) dove venivano messi su gradini decrescenti gli umani, gli animali, le piante, i minerali. Per questo da molti anni, non raffiguro umani ma rappresento, in maniera iconica, minerali, geologie, nuvole e piante, a queste voglio rivolgere maggiore attenzione, è il loro turno per salire sui palcoscenici.
Molti dei miei lavori sono stati influenzati da Elisé Reclus, un geografo libertario di fine ottocento, in particolare la performance “Rockslide and the Woods” che ho realizzato per Centrale Fies nel 2016. Reclue in uno dei suoi scritti diceva “L’uomo è la natura che prende coscienza di se stessa”, finché noi umani non avremo questa consapevolezza continuerò a rappresentare gli altri elementi della natura.

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