Abstractism. Group show. Dal 18 febbraio al 9 marzo 2017

Curator: Chiara Pietropaoli
Altrove: Edoardo Suraci, Vincenzo Costantino

altrove exhibition abstractism

C: Tre anni fa nasceva Altrove, ci raccontate da quali intenzioni ha avuto origine il progetto e come si è evoluto nel tempo?

A: In quel periodo eravamo studenti fuori sede e la frase più un voga era che in Italia non c’era futuro, non ti dava quelle possibilità che potevi trovare altrove. In Calabria poi non ne parliamo. Questa resa incondizionata però ci stava un po’ stretta, così abbiamo voluto fare un tentativo: provare a costruirlo noi un altrove, senza troppi obiettivi a lungo termine ma per esplorare le possibilità reali, per capire se questa storia era vera. Così ci siamo messi ad organizzare un evento a Catanzaro come se fossimo a Berlino, andando a ricercare le opportunità piuttosto che fissarci sulle criticità. Era appunto un tentativo, quasi un esperimento ma oggi siamo qui, con tre edizioni alle spalle e una galleria d’arte.

C: Operate a Catanzaro, una città in cui il muralismo era assente prima del vostro intervento e che a oggi vanta più di quaranta opere pubbliche. Come hanno reagito i cittadini e le istituzioni? Qual è stato l’impatto del progetto sul territorio? Equivale a quello desiderato?

A: Supera grandemente le nostre aspettative iniziali. Già dal primo anno la risposta è stata impressionante e ci ha spinto a mollare tutto per rientrare a vivere in Calabria e dedicarci interamente al progetto. La gente ci ha offerto da subito quel supporto senza il quale sarebbe stato impensabile realizzare quello che abbiamo fatto finora, e così è stato anche per le istituzioni. Lo scorso anno, quando c’è stato un tentativo di fermare il festival da parte di un’associazione locale, c’è stata una levata di scudi in nostra difesa, che ci ha commosso e reso ulteriormente consapevoli di quanto la città stia riversando su di noi entusiasmo e aspettative. Il territorio è cresciuto insieme a noi; nel 2013 si parlava di una città spenta, morta: oggi si parla quotidianamente di arti visive e performative e la cultura è tornata al centro del dibattito cittadino. Ma forse la cosa più importante di tutte è che Altrove è diventato un modello per altri gruppi di ragazzi che hanno deciso di mettersi in gioco in città e hanno creato realtà interessanti e in crescita.

C: Un festival di Arte Pubblica, tra i più rilevanti della scena e dal 2016 anche uno spazio espositivo tutto vostro: l’Altrove Gallery. Fin dall’inizio avete accostato all’attività nell’Arte Pubblica un percorso espositivo importante. Si tratta di progetti paralleli o complementari?

A: La galleria rappresenta per noi la possibilità di approfondire la sperimentazione portata avanti nello spazio pubblico. Nella nostra visione rappresenta sicuramente un progetto complementare che ci permette di investire direttamente sulla ricerca di artisti nei quali crediamo molto. E poi stavamo impazzendo a lavorare sempre in casa e la galleria rappresentava anche un posto in cui sviluppare progetti, incontrare le persone e offrire loro un punto di riferimento stabile.

C: A differenza di molti festival di Arte Pubblica, che coinvolgono artisti con linguaggi differenti, avete avuto da subito una linea curatoriale ben precisa scegliendo di invitare esclusivamente astrattisti. Ci spiegate il perché di questa scelta?

A: Abbiamo cercato di ragionare sul concetto di spazio comune, da millenni occupato da architetture disposte su un territorio studiato dall’alto. Così ci siamo concentrati sull’interazione tra arte e paesaggio urbano, lavorando con gli artisti che studiano i vincoli e le opportunità proprie di una parete e del suo contesto e da quelli muovono per produrre l’opera pittorica. Piuttosto che mandare un messaggio sociale o proporre un’inutile spettacolarità con l’obiettivo dei 2000 like, abbiamo preferito agire d’azzardo, convinti che l’unico modo per produrre una crescita reale in un territorio disabituato alla ricerca fosse innescare nella gente delle riflessioni, suggerire delle domande piuttosto che dare delle risposte. In un posto in cui bisogna fare alfabetizzazione non puoi partire piano, non puoi accontentare il gusto comune ma devi spingere le persone ad andare oltre, abituarle a nuove proposte. L’astrattismo per tutte queste ragioni ci sembrava perfetto; inoltre l’Italia oggi è ricca di eccellenze che portano avanti quest’immaginario estetico e che stanno facendo scuola a livello internazionale. Le opere della prima edizione di “Abstractism” ci hanno entusiasmato e così abbiamo proposto la seconda, variando ricerca, luoghi e dimensioni. Ora non sappiamo se continueremo così, la città è cambiata e per fortuna molte considerazioni valide prima ora non lo sono più.

C: “Abstractism” è la “fusione” di due grandi mostre: “Abstractism – Space to place”, del 2015 e “Abstractism – Humanize Landscape”, del 2016. Per la prima volta le opere sconfinano e arrivano a Roma, nella Galleria Varsi. Per la mostra si è scelto di presentare anche opere inedite degli stessi artisti che hanno partecipato alle suddette esposizioni. Cosa rappresenta “Abstractism”?

woman admires altrove exhibition abstractism

A: “Abstractism” rappresenta una fase cruciale nel nostro percorso artistico, racchiude il lavoro di più di venti artisti che in questi anni sono passati da Catanzaro e hanno trovato un luogo in cui sentirsi liberi di sperimentare. “Abstractism” è espressione di un confronto, testimone di valori condivisi e di una ricerca in continua evoluzione. Per noi è più di una mostra, è un modo per riunire la famiglia e siamo felici di farlo da Varsi che è come una seconda casa.

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C: Negli anni avete lavorato e conosciuto tantissimi artisti, siete venuti a contatto con il loro pensiero, immagino anche riguardo al dibattito aperto sul tentativo di storicizzare la “Street Art”, termine ambiguo che molti rifiutano. Pensate sia davvero necessaria una storicizzazione? Vi ritenete parte attiva del dibattito? Voi avete parlato spesso di “movimento”. Quali sono allora secondo voi i caratteri comuni che potrebbero unire gli artisti e quali invece i limiti, se per voi esistono, che rendono complessa una storicizzazione?

A: Sicuramente è necessario aumentare la qualità dell’informazione (visto che sulla quantità direi che ci siamo), andando oltre l’idea che “un muro colorato è meglio di un muro grigio”. Oggi non siamo più a quel punto, “Street Art” ormai non vuol dire proprio niente, è un pentolone nel quale infilare artisti estremamente differenti sia per contenuti che per linguaggi. Crediamo sia arrivato il tempo di approfondire gli elementi all’interno di questo pentolone, analizzare la complessità di una scena estremamente varia e di concentrarsi sulla qualità e le ricadute degli interventi. La maggiore difficoltà che oggi vediamo in un processo di storicizzazione è dovuta all’eccessivo risalto mediatico che si dà a operazioni esclusivamente commerciali che, anziché fare chiarezza su un fenomeno di per sé molto complesso, hanno interesse ad alimentarne una visione distorta e semplicistica. Noi un movimento autentico lo vediamo, ci crediamo e come attori di questa scena avvertiamo la necessità di definirne i caratteri e ragionare sul suo ruolo nella contemporaneità.