Curatrice: Chiara Pietropaoli
Artista: Alberonero
Esibizione dal 2 marzo al 4 aprile 2019

mostra galleria varsi artista albonero

Curatrice: Quando la prima volta ti ho chiesto come è cominciato il tuo percorso artistico mi hai risposto: “Dai traumi e con la poesia”. Mi racconti il tuo primo approccio all’arte?

Artista: A quattordici anni avevo la necessità di rappresentare ciò che sentivo, succedeva sia di giorno che di notte. L’arte è un momento di libertà e di manifestazione del pensiero, facevo ciò che mi passava per la testa, alcune volte era disegnare altre era scrivere.

Curatrice: Dall’intimità sei passato al gruppo. Nella tua formazione la partecipazione al “Movimento Sinapsi”, collettivo della scena dei graffiti di Lodi, ha giocato un ruolo importante. Cosa ti porti dietro dell’esperienza dei graffiti?

Artista: L’energia, l’adrenalina e il piacere. Fare i graffiti in compagnia è una delle cose che amo di più, ancora oggi quando torno a casa e ho tempo libero vado in campagna, nella “bassa” lodigiana, a disegnare e trascorrere le giornate in luoghi abbandonati. Il territorio dove sono nato e cresciuto ha un legame forte con il mio lavoro, la nebbia, il fiume, le fabbriche e le cascine sono i soggetti naturali e architettonici del posto. Il fascino dei luoghi vuoti, della luce che entra e li fa rinascere, il silenzio che li percorre, come il loro brutalismo che dopo anni è diventato uno dei riferimenti della mia ricerca. L’esperienza dei graffiti folcloristici come atto ludico, forme istintive dai tratti sporchi e brutali, un legame con il mondo rurale lontano dalla città che ha portato Lodi ad avere un rapporto alieno rispetto alla scena del writing milanese.

Curatrice: Nel 2010 ti iscrivi al Politecnico di Milano, dove ti laurei in Design di Interni. Quali studi hanno influenzato in maniera incisiva il tuo percorso?

Artista: La mia formazione universitaria è stata fondamentale per il progresso della mia visione sui luoghi e sullo sviluppo dei pensieri uomo-architettura. Unendo il percorso in strada agli studi al Politecnico di Milano è nata una percezione dello spazio nuova. Ricordo con piacere le lezioni di disegno dove frenavo lo spirito d’immaginazione, per concentrarmi all’interno di linee che rappresentassero dettagli invisibili. La storia del design e la conoscenza del Bauhaus sono gli elementi che cambiarono maggiormente il mio modo di pensare, l’influenza della loro visione è fortissima in me. Trovare una metodologia di costruzione di ciò che disegnavo e studiavo, è stato un passaggio unico per incanalare l’energia che sentivo attraverso la libera espressione in strada.

Curatrice: Mi hai raccontato che c’è stato un momento in cui hai sentito la necessità di ridurre gli stimoli esterni al minimo. Hai fatto un esercizio quotidiano per cercare di arrivare all’essenza di quello che ti stava intorno, un esercizio “a levare” che ti ha portato alla sintesi del colore e al quadrato. Cosa rappresentano per te questi due elementi?

Artista: Nel 2012 inizia l’allenamento alla ricerca di una riduzione di ciò che vedevo. Una nuova visione che mi facesse tornare a sentire bambino, un input alla volta, un’emozione continua. L’esercizio deve essere equilibrato tra il trovare un codice che ti soddisfi e sentirne ogni volta la novità, cioè provarne stupore e alimentarne la magia.
Il colore è da sempre una sensazione che ho voluto fare mia, amo i colori della vita e ciò che possono farti provare. Mi sono avvicinato al suo studio in maniera ossessiva quando decisi che rappresentava la chiave per una ricerca comprensibile a tutti, obiettivo quello di suscitare nell’osservatore emozioni pure, senza dare coordinate di una figurazione precisa e definibile in maniera univoca, ma dove ognuno potesse dare una sua interpretazione di ciò che stesse vedendo, all’interno di un sistema apparentemente statico. Attraverso il colore sono riuscito a dare vita a ciò che volevo rappresentare, a far correre l’occhio per le coordinate degli schemi della mia mente.
La forma del quadrato rappresenta un momento della mia visione, la sua parte più piccola e indivisibile, la sua unità. Osservavo tutto in bidimensionale e dividevo tutto attraverso una griglia, la griglia come base per una nuova visione, la scacchiera come elemento di equilibrio totale. Il quadrato rappresenta la “non forma” l’unica che mi consentiva di porre più colori in sequenza senza mai staccarli, l’unica direzione di disegno che vedevo possibile.

mostra supernaturale di albonero alla galleria varsi

Curatrice: Hai definito il tuo processo artistico “matematico-percettivo”. Come si coniugano poetica e matematica nelle tue opere?

Artista: Voglio studiare la percezione di ciò che guardiamo e le emozioni che in noi suscita. La vibrazione degli occhi rispetto alla moltitudine di fenomeni che accadono, il processo di manifestazione dall’invisibile al visibile. Trovare percezioni del colore nello spazio fisico e trasportarle mediante l’immaginazione a un atto reale. In questi anni il ponte tra la matematica e la poetica è stato il colore, dove un approccio scientifico e costante mi ha permesso di sviluppare un legame intimo con la sua essenza e la produzione di diversi modelli cromatici personali. Mediante un allenamento continuo di anni a realizzare qualsiasi cromia, cercando la loro radice all’interno delle variabili reali, cioè prendendo ispirazione direttamente da ciò che vedo, come l’esercizio del rileva colore su photoshop. Questa pratica di creazione del colore all’interno delle mie opere si svolge sempre partendo da i tre colori primari più il bianco e il nero. L’altra componente fondamentale per una lettura matematica dei luoghi e una sua conseguente trasformazione è l’analisi dello spazio, dove ogni elemento presente nella scena rappresenta una possibile variante di interazione con il modulo. La matematica dello spazio attraverso lo studio della policromia architettonica.

Curatrice: Quali sono le sensazioni che vuoi suscitare con le tue opere? Parlando di teoria del colore, pensi esistano leggi universali relative alla percezione del colore?

Artista: Vorrei suscitare il bianco, la luce, il tutto. Ho sempre desiderato che l’osservatore quando guarda il mio lavoro, senta un senso di eleganza e leggerezza, si senta meglio come se stesse inspirando aria nuova. La mia visione tende alla ricerca di una bellezza oggettiva, studiando quei sistemi vicini alla conoscenza e alla scoperta del piacere visivo. Un’arte scientifica nella quale come componente estetica, esista la matematica del colore, tecnica che mi porta a fare un’ esperienza del colore reale all’interno dello spazio in cui viviamo. Penso che ciascuno abbia una percezione molto personale di ciò che vede, ma credo che esistano combinazioni estetiche che avvicinano la bellezza più di altre.

Curatrice: L’indagine della relazione arte-spazio pubblico è stata per te da sempre centrale. Nel tempo le tue intenzioni si sono evolute, in base alla tua ricerca artistica e alle tue riflessioni. Oggi sei orientato a un approccio artistico mirato a “costruire il paesaggio”. In che modo il colore può “sviluppare”, “costruire” uno spazio?

Artista: Disegnare l’architettura non è disegnare un muro, costruire nuovi ambienti attraverso la percezione della pittura è la sfida che ho intrapreso utilizzando il colore come unica chiave emozionale, come costruire con la pittura? Ragionando da progettista ho sempre pensato al disegno come a uno dei passaggi della mia creazione, senza pensare quale potesse essere la soluzione finale. Amplificando la percezione di caratteri del visibile, si ha la possibilità di sviluppare la manifestazione di un luogo che apparentemente non si vede.
Prediligo le linee e le forme pure, quanto ai colori invece tendo a sperimentarne tutte le possibili varianti di tonalità alterandone la purezza. L’effetto che risulta dall’unione di linea e colore si adegua perfettamente alla mutevolezza del paesaggio in cui le opere sono collocate, laddove in loro è manifesta quell’alternanza di staticità e dinamicità, vuoto e pieno, opacità e trasparenza che è pure propria del paesaggio. Abitare il paesaggio, fermare la visione in singoli momenti che ci permettano di leggere e interpretare le norme che lo regolano, per poi in un secondo momento lavorare a uno sviluppo creativo che gli doni nuova forma.

Curatrice: La natura è stata scenario di gran parte dei tuoi progetti, il paesaggio naturale è da sempre per te fonte d’ispirazione, soprattutto a livello cromatico, e luogo di azione. Come si inseriscono i tuoi interventi in questi luoghi così perfetti, compiuti?

Artista: Contemporaneamente alla fine degli studi presso il Politecnico, nel 2013, iniziai a produrre installazioni, sentivo la necessità di costruire in volume ciò che disegnavo. L’attitudine industriale e architettonica mi hanno portato allo sviluppo di una sensibilità all’utilizzo di certi materiali e alla loro combinazione nello spazio pubblico. Da subito la mia volontà era quella di realizzare luoghi tributo alla natura, ambienti che potessero far contemplare l’uomo, spazi spirituali per una nuova visione. In queste opere costruite in vari ambienti il mio obiettivo è sempre stato quello di esaltare ciò che già esiste senza andare ad intaccare le sue radici, senza snaturare, portando una riflessione su quello che l’uomo vive e dove lo vive, un addizione architettonica al fine di trovare un equilibrio con il circostante. All’interno di questa visione definisco la “costruzione del paesaggio” come atto di costruzione in funzione del luogo in cui esso abita, un oggetto architettonico che prende vita insieme allo scenario in cui si partorisce, vive e muore. Questo processo produce la formazione di uno sviluppo del paesaggio incline al suo andamento naturale, invitandolo a prendere vie che portano a risultati di interazione oggetto-spazio, che siano supernaturali, dove si svela la sua essenza attraverso dispositivi nuovi che manifestano l’immagine di una natura ipotetica e superiore.
Accompagnare quei momenti dove la natura svela la propria bellezza assoluta è un’azione che amo fare, lavorando su leggi invisibili che legano il ciclo naturale del giorno a sistemi visivi che possano esaltarlo, tramite l’utilizzo di dispositivi temporanei che non intacchino le leggi di impatto ambientale.

Curatrice: Per la tua mostra personale presenterai una serie di opere caratterizzate da una forte dimensione ludica, realizzate con diversi materiali, una serie di “Esercizi”. Qual è il rapporto tra colore, gioco e materia nei lavori realizzati per “Supernaturale”?

alberonero supernaturale mostra alla galleria varsi

Artista: La mostra nasce dal desiderio di creare dei dispositivi ludici che producano modelli di visione. La produzione comincia da un atto di liberazione del pensiero, unendo la mia mente alla vita delle opere e provocando la nascita di emozioni e artefatti instabili, fragili e puri. Lo sviluppo degli “oggetti pensiero” non ha una fine definita ma vive di stati d’animo imprevedibili che fanno variare ripetutamente la forma di essi, fino a quando non si raggiunge un momento della visione limite che viene definito come stato finale della forma: gli apparecchi visivi sono fatti di materia composta da un equilibrio tra istinto e geometria. Questo processo può essere avvicinato alla realizzazione di un gioco randomico dove il colore e la materia definiscono forme inattese verso la ricerca di possibilità infinite dello sviluppo di un disegno scientifico e unico. L’analisi dei materiali, la creazione dei colori e la forma della materia sono un evoluzione naturale delle opere stesse, il “Supernaturale” è l’accostamento di uno spirito puro e luminoso alla materia cruda e geometrica. La mostra è caratterizzata da un alternarsi continuo di differenti possibilità che si hanno nell’incontro di elementi come legno, vetro, metallo, gesso, cemento, tessuto, fibra di vetro, resina e lo studio di interazione tra essi e il colore.

mostra albonero alla galleria varsi roma